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venerdì 12 febbraio 2021

Recensione "La carta da parati gialla" - Charlotte Perkins Gilman

 


Titolo: La carta da parati gialla

Autore: Charlotte Perkins Gilman

Editore: Barbara di Fiore Editore


Genere: Narrativa, classico, racconto.

Serie: Autoconclusivo




Molti e molti lettori l'hanno chiesto. Quando il racconto uscì per la prima volta, sulla rivista New England Magazine del 1891, un medico di Boston inviò una protesta a The Transcript. Una storia del genere non doveva essere scritta, disse; avrebbe fatto impazzire chiunque l’avesse letta. Un altro medico, in Kansas credo, scrisse definendola la migliore descrizione della pazzia incipiente che avesse mai visto, e - perdonatemi - se fossi stata lì? Ora la storia della storia è questa: Per molti anni ho sofferto di un grave e continuo esaurimento nervoso tendente alla malinconia - e oltre. Durante il terzo anno (più o meno) di questo disturbo mi sono recata, in fede e con qualche timida speranza, da un noto specialista in malattie nervose, il più noto del paese. Quest’uomo saggio mi mise sul letto e applicò la terapia del riposo, con la quale il mio fisico ancora in forma rispose così prontamente che egli concluse che non c'era nulla di grave in me, e mi mandò a casa con il solenne consiglio di "vivere il più possibile una vita domestica", di "dedicare solo due ore di vita intellettuale al giorno", e di "non toccare mai più la penna, pennello o matita" finché avessi vissuto. Questo nel 1887.


La storia parla di una donna che, considerata malata viene condotta dal marito in una villa signorile per “curarsi”. La cura prevede che la donna si riposi e non si affatichi limitando al minimo l’attività fisica ed intellettuale. Questo la porterà alla follia perchè viene rinchiusa in una stanza con un’orrenda carta da parati. Questa carta da parati di colore giallo, colpisce la donna fin da subito con i suoi disegni arabeschi. Se inizialmente la infastidisce chiedendo al marito di toglierla o di cambiarle stanza, piano piano cominci ad osservarla con ossessione senza però capire la logica dei suoi disegni. Le settimane passano e la donna, sempre rinchiusa nella stanza senza possibilità d’uscita, inizia ad intravedere cosa si nasconde in mezzo ai disegni scorgendo una donna intrappolata che cerca di liberarsi dalle sbarre che la tengono prigioniera. Diventa per lei un'ossessione liberare la donna intrappolata dietro il muro tanto che si rinchiude dentro la stanza e strappa tutta la carta da parati riuscendo a liberarla e liberando, in qualche modo, anche se stessa.


Questo è un racconto semi-autobiografico che si vede identificata come protagonista la stessa autrice. L’autrice scrisse questo racconto in appena due giorni quando il medico le prescrisse la stessa cura che si trova nel racconto perché aveva una depressione post partum. Come succede nel racconto, anche la Gilman al posto di guarire, con questa cura peggiora e riesce a riprendersi solo dopo essersi allontanata e separata dal marito inviando addirittura una copia del racconto al dottore che le aveva prescritto la cura.

Questa cura “la cura del riposo” consisteva in un periodo di riposo dove la donna non deve affaticarsi fisicamente, mentalmente e sentimentalmente. Infatti era credenza dell’epoca che la donna fosse intellettualmente inferiore all’uomo e che la causa dell’isteria risiedesse nell’uso eccessivo della mente.


Il racconto è ambientato nella fine dell’800 in una villa coloniale americana. Le descrizioni della villa esternamente sono molto particolareggiate soprattutto del giardino ma della casa conosciamo in modo approfondito solo la stanza dove la protagonista vive per tre mesi. 

In questo racconto si intuisce la considerazione che ha la società del tempo della donna che dovrebbe essere accondiscendente e compiacere il marito, avvalorata ancora di più dall’autrice nella scelta di non aver dato un nome alla protagonista.


 Il senso di inquietudine  viene creato dall’autrice con periodi brevi, quasi nervosi, nel descrivere l’ossessione della protagonista con descrizioni precise e inquietanti della carta da parati che rispecchiano il suo stato d’animo. 

Di questo racconto mi ha colpito il messaggio di oppressione che l’autrice vuole mandare ai lettori allacciandosi ad un fatto che le è realmente accaduto che ha condizionato il suo modo di pensare. 

Anche se è stato scritto cento anni fà la depressione post partum è tutt’oggi un argomento tabù e come all’ora, questo racconto potrebbe aprire gli occhi ad una visione differente alle donne. Stesso discorso per la depressione in generale o le malattie mentali, visto ancora oggi come oggetto di stigmatizzazione sociale.


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